Le icone del cinema alla Mole Antonelliana.

La piuma di “Forrest Gump” e la bacchetta magica di “Harry Potter”, il casco degli Stormtrooper di “Guerre stellari” e persino la pallottola inquadrata in bullet-time di “Matrix”: ecco solo alcuni esempi degli oggetti di scena originali che si potranno ammirare alla Mole Antonelliana dal 29 maggio 2024. Con loro, infatti, ci saranno ben centotredici reperti provenienti dai set cinematografici hollywoodiani, tutti protagonisti della mostra “MOVIE ICONS. Oggetti dai set di Hollywood” che – organizzata dal Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con Theatrum Mundi – resterà all’interno della Mole Antonelliana di Torino sino al 13 gennaio 2025.

Curata da Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino, e da Luca Cableri, direttore della galleria Theatrum Mundi di Arezzo, la mostra sarà inaugurata il 28 maggio 2024 alla presenza degli scenografi tre volte vincitori del Premio Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: in quell’occasione, protagonisti di una attesissima masterclass, i creatori delle scenografie di classici come “Gangs of New York” e “Hugo Cabret” riceveranno il prestigioso Premio Stella della Mole.

Ma torniamo a “Movie Icons”. L’esposizione non sarà un semplice censimento di memorabilia dei principali cult movie degli ultimi quattro decenni: nel proporre un viaggio tra i generi cinematografici attraverso oggetti iconici e costumi provenienti dalle collezioni del Museo Nazionale del Cinema, di Theatrum Mundi e Propstore, oltre ad offrire una riflessione sul collezionismo e sulla sua evoluzione, Movie Icons sembra quasi voler sottolineare l’importanza del tangibile in un mondo sempre più rivolto verso il virtuale e il digitale.

Con questa mostra il Museo Nazionale del Cinema prosegue un percorso artistico di grande spessore – dichiara Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema – L’obiettivo è duplice: da un lato fare mostre spettacolari che attirino il grande pubblico e dall’altro ideare proposte che fidelizzino il pubblico più giovane. Ogni visitatore troverà oggetti iconici capaci di farlo viaggiare nel tempo e nelle emozioni, oramai entrati a far parte della storia del cinema, resi ancora più spettacolari grazie a quel fantastico luogo che è il Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana”.

La mostra si propone di delineare un diario di bordo, quasi una mappa dei veloci cambiamenti creativi e tecnologici del cinema, attraverso i suoi oggetti simbolici – dichiara il direttore del Museo e co-curatore della mostra, Domenico De GaetanoCollezionare, tornare agli oggetti, al loro potere di trasmettere significati, emozioni e conoscenza significa anche analizzare e raccontare il backstage del cinema, i mestieri creativi della settima arte, l’evoluzione del costume e in ultimo quella del collezionismo stesso. Una sfida, quasi un’urgenza, in un’epoca in cui il confine tra materiale e immateriale si fa sempre più labile, non solo al cinema”.

“Sono onorato che la mia collezione di props venga ospitata in un museo unico al mondo – dichiara Luca Cableri,direttore della Galleria Theatrum Mundi e co-curatore della mostra – La passione che mi ha spinto a raccogliere questi oggetti di cinema è la stessa che ho ritrovato nello staff del museo e che mi ha convinto a esporli per la prima volta al pubblico. Per me è un sogno che si realizza e spero che anche i visitatori potranno sognare a occhi aperti vivendo o rivivendo le storie che questi oggetti iconici raccontano”.

Job Film Days al Salone del Libro.

Infortuni e decessi sul posto di lavoro sono all’ordine del giorno. Che siano causate da mancanza di sicurezza, negligenza o scarsi investimenti, il tema, purtroppo, è di stretta attualità e, nonostante gli appelli e le proteste, non accenna a diventare meno scottante. Non stupisce quindi che il Job Film Days, festival cinematografico dedicato alle tematiche del lavoro e dei diritti, sia ospite al Salone Internazionale del Libro di Torino durante uno dei due incontri che lo vedranno protagonista oggi pomeriggio, 12 maggio.

L’appuntamento è alle ore 14 presso lo stand T 178 dell’Oval, negli spazi di Inail e Inps: al dialogo tra la direttrice del festival Annalisa Lantermo e Fabio Lo Faro, direttore generale di Inail Piemonte, seguirà la proiezione di un cortometraggio del regista torinese Filippo Ortona in cui si racconta la morte di un giovane operaio delle ferrovie francesi, Anthony, 22 anni (Francia, 2021, 12’, doc.).

Poco più tardi, alle ore 16, si parlerà invece di puro cinema e, in particolare, di produzione. Presso lo spazio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (stand L27 al Padiglione 2) la direttrice di Job Film Days parteciperà infatti ad un incontro moderato da Luisella Fassino, presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Torino, in cui si parlerà di produzione cinematografica con un focus particolare sul festival e sul Laboratorio di scrittura. Ci saranno anche Sergio Fergnachino, filmmaker e tutor del laboratorio, Valentina D’Amelio, selezionatrice dei concorsi del festival, e Sirio Giuliani, vincitore del premio Miglior soggetto JFD 2023. L’intento è raccontare l’esperienza del laboratorio di scrittura di Job Film Days, giunto nel 2024 alla terza edizione. Si presenterà il quadro dei partecipanti e delle idee sviluppate, oltre che i vincitori, entrando poi nel dettaglio per illustrare il lavoro pratico del Laboratorio. Sarà proiettato anche il video dell’edizione dello scorso anno.

Nel frattempo, vale la pena ricordarlo, il 4 maggio scorso ha preso il via il laboratorio di scrittura di Job Film Days “Dall’idea al soggetto”. L’iniziativa è rivolta a videomaker, creative e creativi, autrici e autori under 35 che intendano sviluppare un’idea di cortometraggio, lungometraggio di finzione o documentario per raccontare il mondo del lavoro attuale. L’obiettivo è arrivare, entro il 31 agosto, alla scrittura di un soggetto che parteciperà al concorso della prossima edizione del festival, attesa in autunno. Durante la manifestazione saranno assegnati i premi ai migliori soggetti, grazie al sostegno offerto da Ordine dei Consulenti del Lavoro di Torino e Aurora Penne – Officina della scrittura. Il prossimo appuntamento sarà l’8 giugno presso la Tenuta Colombara di Acquerello, eccellenza italiana nella coltivazione del riso, a Livorno Ferraris (Vc). Oltre all’intervento della regista Rossella Schillaci, i partecipanti potranno visitare l’azienda e il dormitorio delle mondine, dove oggi rivive il Conservatorio della risicoltura. La terza giornata del Laboratorio si svolgerà invece a Torino, il 29 giugno presso l’Associazione Scuole Tecniche San Carlo. Interverranno la direttrice dell’istituto Roberta Seno, i rappresentanti di Film Commission Torino Piemonte e Massimo Arvat, produttore di Zenit Arti Audiovisive. Chiuderà la giornata Annalisa Lantermo

Stella della Mole e Masterclass per Paul Schrader.

Il regista e sceneggiatore Paul Schrader riceverà il Premio Stella della Mole mercoledì 22 maggio 2024 in occasione di una masterclass in cui ripercorrerà le tappe della sua intensa e variegata carriera, dalle collaborazioni con Scorsese e i successi di “Taxi Driver” e “Toro Scatenato” ai capolavori, come “American Gigolò”, che lo hanno reso uno dei più celebrati autori contemporanei.

Nel corso di una carriera lunga cinque decadi e oltre 30 film, Paul Schrader si è imposto come autore e regista a tutto tondo capace di un’audace stilizzazione visiva e di un penetrante realismo psicologico intorno a temi profondi e stimolanti. Il Museo Nazionale del Cinema di Torino rende omaggio quindi a uno dei creatori cruciali del cinema moderno che ha tracciato un percorso artistico ed espressivo avvincente, singolare e talvolta contraddittorio. Figura chiave della New Hollywood – che dalla fine degli anni Sessanta ha portato alla rinascita del cinema americano – Schrader ha collezionato una serie di successi scrivendo sceneggiature di film diretti da Sidney Pollack e Brian De Palma per poi passare dietro la macchina da presa, con tutti i tipi di soggetti, generi e stili nel corso di una carriera duratura, di alto profilo, solitamente imprevedibile e solo a intermittenza mainstream.

Raffinato autore di numerosi classici moderni, il 22 maggio Schrader riceverà il prestigioso riconoscimento del Museo Nazionale del Cinema per poi tenere una Masterclass alle 19 nell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana e presentare – alle 20.30 al Cinema Massimo – una proiezione speciale di “First Reformed” (2017), il film con Ethan Hawke e Amanda Seyfried valsogli la candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura.

Paul Schrader è un grande Maestro del cinema americano e uno degli autori più importanti del nostro tempo ma anche un fine conoscitore del cinema e della cultura europea – afferma Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del CinemaÈ un vero privilegio per questa Istituzione rendere omaggio a un monumento della storia del cinema, che continua a realizzare capolavori sempre potentemente vivi di idee, evidenziando ancora oggi la tensione tra vecchi e nuovi modi di raccontare una storia”.

Il rapporto unico di Schrader con il ruolo di autore ha a lungo influenzato il suo cinema, che spazia dal realismo sociale, all’horror, alla satira, al thriller poliziesco, alla biografia, agli adattamenti letterari e al neo-noir; ma sempre in modo anticonformista, originale e intellettuale – sottolinea Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del CinemaAndando oltre l’affermazione di una visione registica con la sua capacità di svelare le complessità della realtà, Schrader eccelle nel ritrarre uomini che affrontano un percorso autodistruttivo, alle prese con una crisi esistenziale che viene poi enfatizzata da un evento violento e catartico. Questi uomini si siedono nelle loro stanze, scrivono i loro pensieri, vanno da un posto all’altro, aspettando che arrivi un cambiamento, sollevando al contempo la forte tensione morale e filosofica che ha sempre plasmato il cinema di Schrader”.

Arte formato social al MNC di Torino.

Da domenica scorsa e fino al 13 maggio l’Aula del Tempio del Museo Nazionale del Cinema ospita l’opera numero 100 di Greg Goya.

Vi state chiedendo chi sia? Si tratta di un artista torinese noto sui social network dove è apprezzato per la sua cosiddetta “fast art”. Grazie a performance artistiche che intendono interpretare “il senso di immediatezza e la ricerca di velocità della società attuale per creare street art”, il giovanotto in questione ha riempito con le sue opere le strade di Torino guadagnando un discreto successo grazie alla sua capacità di creare un connubio tra il mondo digitale e quello fisico.

Tratto distintivo della sua poetica – che racconta gli stati d’animo di una generazione perduta tra social network, fast fashion e app d’incontri – è la possibilità del pubblico di interagire attivamente all’evolversi dell’opera, il cui risultato finale è frutto di un contributo collettivo. Cosa che succede anche per il progetto che lo vede protagonista al Museo Nazionale del Cinema dove l’artista ha realizzato due opere distinte per raccontare le emozioni suscitate dal potere del cinema: la prima installazione utilizza pellicole cinematografiche per raccontare i film che hanno segnato la vita degli spettatori, la seconda invita il pubblico a condividere un momento particolarmente commovente della loro vita.

È importante per il museo trovare sempre nuovi modi per far avventurare i giovani nel mondo del cinema e per dialogare con gli artisti del territorio, grazie anche ai nuovi linguaggi che, in maniera veloce e potente, permettono interazioni e connessioni velocissime” ha sottolineato Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema.

Quando una mia giovanissima amica mi ha fatto vedere le performance artistiche di Greg – ha raccontato Domenico De Gaetano, direttore del MNC ho subito pensato che fossero molto cinematografiche e interattive, divertenti e profonde allo stesso tempo. L’ho contattato lo scorso dicembre e il suo entusiasmo, la sua creatività e la sua passione per il cinema hanno contagiato tutto il team del museo”.

Quando ero bambino – ha dichiarato Greg Goya sui suoi canali social – volevo fare l’artista. Uno di quelli che dipinge le tele e le espone nei grandi musei. Davanti alle cui opere la gente si ama, si bacia e piange. Forse per questo ho iniziato a dipingere sui muri di casa mia e non ho mai smesso: ho dipinto 99 opere di quest’arte che ci piace chiamare fast art per le strade di Torino. Abbiamo reso l’arte interattiva e migliaia di persone hanno fatto arte con noi. Abbiamo raggiunto milioni di persone sui social media e dimostrato che anche un artista di Torino può parlare a tutto il mondo. La centesima opera la dipingeremo dentro il tempio della nostra città, la Mole Antonelliana”.

Briganti in salsa “vichinga”

Contadinotta lucana uccide marito nobile ma violento STOP Scappa STOP Si unisce a banda di briganti STOP Violenza STOP Rivolta STOP Finale apertissimo STOP

Ecco riassunta esaurientemente, a mo’ di telegramma, l’avvincente (si fa per dire) trama di “Briganti”, ultima serie targata Netflix: guardare i sei episodi di cui si compone la prima stagione della fiction, infatti, aggiunge ben poco a quanto suddetto. Il che è abbastanza grave perché il fenomeno del brigantaggio è cosa seria e, se è vero che non può essere certo una fiction a trattare con completezza il tema (meritevole di approfondimenti ad hoc sulle ragioni, le dinamiche, le conseguenze di un fenomeno che caratterizzò per anni il Sud Italia prima e dopo il Risorgimento), è altrettanto vero che sarebbe auspicabile attendersi almeno un minimo sindacale. Ed invece…

Invece lo spettatore si ritrova alle prese con un prodotto realizzato per un pubblico (soprattutto straniero?) cui possa bastare un bel pacchetto e nulla più: la confezione, obiettivamente ben realizzata, sembra infatti preparata ad arte per celare una sorpresina misera misera.

Qui i proverbiali “specchietti per le allodole” sono costituiti da un’ottima fotografia, ambientazioni suggestive alla spaghetti-western e tante citazioni: tra sequenze alla “Fightclub”, personaggi e situazioni alla “Vikings”, una ricerca del tesoro (“l’oro del Sud”) che neanche Johnny Depp ne “I pirati dei Caraibi”, la storia della protagonista Filomena e dei suoi tentativi di salvarsi la pelle prima, salvare il fratello poi ed infine salvare tutto il Sud Italia dai perfidi torinesi scorre via che è un piacere, sempre che si accetti il tacito accordo di spegnere il cervello, si passi sopra al “politically correct” che impone personaggi femminili fuori-contesto, si faccia finta di non notare quanto i briganti di fine Ottocento avessero trucco e parrucco sempre perfetti e ci si lasci trasportare così, mollemente, da un episodio all’altro, cullati da una colonna sonora che propone – come tante fiction d’Oltreoceano fanno da anni – brani celeberrimi reinterpretati in chiave ambient (un esempio? “Heroes” di David Bowie: stupenda, per carità, ma che ci azzecca con il Sud Italia dell’epoca?).

In mezzo: sparatorie, tanta violenza, dialoghi improbabili, personaggi monolitici e monologhi retorici (magistrale quello dell’episodio finale pronunciato da donna-capobanda: “Ultimi sì, ma soli no: il tempo dell’oppressione è finito, arriverà il tempo della libertà, la nostra libertà”).

Nulla di grave se si è tra coloro che ritengono si tratti “solo” di una fiction e se si considera che, se fosse stata realizzata negli States, ci saremmo pure potuti aspettare un Re Vittorio Emanuele II gay e afro, ma la serie è prodotta in Italia e qualche accortezza in più sarebbe stata auspicabile.

Ciò detto, trattandosi di un prodotto Netflix, è impossibile sfuggirgli perché la piattaforma lo propone in ogni dove. Vedere, però, non significa gradire e popolarità non significa successo, no?